Il giovane monaco e lo ZEN


Angor 2005 - Monaca
(foto Paolo Raccagni)

Sempre per non prendersi troppo sul serio.
Un giovane monaco di un monastero Zen corre trafelato cercando il suo Maestro. Trovato il vecchio insegnante, impegnato a potare i suoi piccoli alberi, lo interrompe dicendo: “Maestro oggi durante la meditazione mattutina ho iniziato a comprendere il canto degli uccelli, sentire il suono dei fili d’erba e il vociare delle formiche”. Il Vecchio Monaco guarda il suo giovane allievo e con fare un poco complice gli risponde: “Non ti preoccupare troppo di questo… fra qualche giorno passa”.




Quando un uomo saggio conosce la Via,
la segue rigorosamente.
Quando un uomo medio conosce la Via,
a volte la segue a volte no.
Quando un uomo inferiore conosce la Via, ne ride.
Se non ne ridesse, non sarebbe la Via.
(DAODEJING)



Il Saggio taoista e le tigri

Quest’aneddoto varia secondo chi lo racconta; a volte il saggio è un taoista, a volte un monaco Zen o buddista, ma il vero insegnamento è che non dobbiamo mai perdere il senso dell’ironia. Durante la lezione e vedi i tuoi allievi che ti guardano con ammirazione… bene, quello è il momento di mettersi a ridere. Non prendiamoci troppo sul serio.

In una non ben definita regione della Cina, viveva un Vecchio Maestro accudito da un suo giovane allievo. Il giovane allievo era perplesso per una strana abitudine del suo precettore: tutte le sere, prima di coricarsi, il Vecchio Saggio usciva dai suoi appartamenti, andava in giardino e gettava un pugno di sale. Il giovane allievo non capiva questo strano atteggiamento e un giorno, per soddisfare la sua oramai intrattenibile curiosità, chiese al vecchio: “ Maestro, perché tutte le sere prima di coricarvi uscite dalle vostre stanze e gettate un pugno di sale in giardino?” Il saggio quasi con aria stupita rispose al suo allievo: “Semplice, è un antico rituale per tenere lontane le tigri dal mio giardino!?” Con maggior stupore del suo Maestro, il giovane allievo ribatté al vecchio: “Maestro, ma sono anni che non si vede una sola tigre in tutta la regione.” Il Vecchio Saggio guardò il suo giovane allievo con aria soddisfatta e commentò: “Non pensavo che funzionasse cosi bene.”

“La saggezza cessa di essere saggezza quando diventa troppo orgogliosa per piangere, troppo austera per ridere e troppo piena di sé per vedere altro che se stessa.” Gibran, Kahalil

Il Libro dei Riti - “Rimettere diritto il cuore”


di Georges Charles
traduzione e adattamento di Paolo Raccagni
tratto dalla rivista Génération Tao n°56
Per Georges Charles, se ci si riferisce ai riti, è impossibile non citare Confucio e il “LIJI”. È questione di cuore, di centro e di buon senso!
Per quanto riguarda la Cina, il Giappone, il Vietnam, la Corea, è difficile parlare di rituale senza evocare Confucio. Dopo essere stato condannato, ritorna di moda, poiché l’opera “Le bonheur selon Confucius, petit manuel de sagesse universelle” (Editions Bel-fond) di YU DAN, un universitario cinese, è ora diventato un bestseller in Francia. YU DAN ha il merito di spiegare che: “il carattere LI che noi traduciamo come “rito” associato a due caratteri che designano la rivelazione celeste e il vasellame utilizzato per i sacrifici e i cerimoniali”, ma soprattutto e ciò che è essenziale: “influenzati dalla classica opposizione tra corpo e spirito che struttura tutte le nostre rappresentazioni, comprendiamo difficilmente che un semplice gesto rituale, come una semplice postura, possa costituire uno dei più alti livelli di pensiero e che la Tradizione, il pensiero e la pratica si uniscono e si esplicano all’interno ed attraverso il rito.”
L’etimologia latina di rito è ritum: passaggio o guado. Il carattere cinese antico che designa il TAO o DAO, rappresenta un cammino tortuoso o un fiume, e la testa di un cervo con le corna (il capo branco è capace di far attraversare la mandria senza incidenti). Almeno su questo punto, taoisti e confuciani, sono, più o meno, tutti d’accordo! I buddisti cinesi hanno scelto il carattere CHAN che designa la meditazione, poiché rappresenta semplicemente una pala con la quale si pulisce e si livella un terreno prima di praticare un rituale seduto. È “l’azione centrata”. Nel cinese moderno, il saluto, JINGLI, significa letteralmente “onorare il rituale”; e questo ci riporta ancora a un modo per passare dal mondo profano verso “un’altra cosa ancora” (HUA SHEN) che noi chiamiamo, in Occidente, il “sacro”.
Cosa dice Confucio nel libro a lui attribuito, il “LIJI” (LI CHI) o “Libro dei Riti” (o trattato del rituale)? Si può leggere nel LIJI, Capitolo 46: Rituale (traduzione di Philastre S.J.): "Le principali regole del cerimoniale, o rituale, hanno un rapporto intimo con le leggi che governano le azioni del Cielo e della Terra. (...) I quattro principi da cui derivano le regole sono l’affetto, il dovere, la giusta misura e la considerazione delle circostanze. Questi quattro principi corrispondono a quattro virtù: la bontà, la giustizia, il senso del decoro e la prudenza. Da queste regole derivano quattro principi e variano a seconda delle esigenze delle circostanze. Esse imitano anche le quattro stagioni. I quattro principi sono l'affetto, il dovere, la giusta misura e il tener conto delle circostanze e si fondano sui sentimenti dell’animo umano. L’affetto ha un rapporto con la bontà. Il dovere alla giustizia. La giusta misura al senso del decoro. La considerazione delle circostanze alla prudenza. Bontà, giustizia, senso del decoro e prudenza sono come gli strumenti che l'uomo utilizza per seguire il percorso che il Cielo gli ha tracciato. Si è stabilito che in casa l'affetto prevale sulla giustizia e fuori casa la giustizia limiterà l’affetto.”
Il “Grande Studio” (TA HIO o DA XUE), conclude: “Questo significa che l'uomo saggio, dopo aver fatto risplendere in lui la virtù, deve estendere la sua azione ad altri.” Pertanto WANG BI (WANG PI), nel terzo secolo, afferma: “Tutta la dottrina del maestro KONG (Confucio) è costituita da (due caratteri)  ZHONG e SHU e nient'altro! (...) ZHONG, è andare oltre se stessi. SHU è portare agli altri.”
Nella nozione di rituale, ZHONG è la verticale YANG, il vigore energico e vibrante del Cielo; SHU è l’orizzontale YIN, la dolcezza malleabile e la ricettività della Terra. Va notato che ZHONG () è scritto con il carattere centro ( ZHONG) sopra e cuore ( XIN) sotto. Questo è il “cuore centrato”, dunque l’azione centrata, proprio come la freccia che raggiunge il cuore del bersaglio e che provoca il suono “ZHONG!” Quando il centro precede il cuore, si ritrova la nozione di benessere, per esempio, nelle pratiche di salute. Questa è “rimettere diritto il cuore”. E questa rettitudine è ZHENG, l’autenticità. Quando Confucio propone di “rettificare le parole” (MING ZHENG) consiglia semplicemente di ritrovare il “buon senso”. Il rituale è semplicemente una questione di “buon senso” per meglio percorrere la Via.

Questo è l’antico carattere classico di LI. A sinistra troviamo SHI, la chiave, o radicale, 113, che indica lo spirito, l'evento celeste, ma anche l'altare ancestrale. A destra, in basso, ci sono una base e un oggetto rituale usato per presentare un'offerta. A destra, sopra, un'offerta costituita da cibo. LI letteralmente vuol dire lo “spirito dell'offerta”, ovvero il rituale, il rito ancestrale.
Questo è il carattere moderno semplificato di LI. A sinistra, sempre il radicale 113, SHI, spirito, manifestazione celeste, ... Sulla destra, per contro, un carattere simile a un gancio, un amo. Il rituale, non capito, evoca ormai l’adescamento sedizioso! Siamo andati dall'offerta ai numi tutelari, agli antenati, a una concezione molto negativa di rituale!