Tui Shou, la trasformazione di sè attraverso l'altro



Non è tutta farina del mio sacco per cui ringrazio e la dedico tutti i miei Maestri.

Paolo Raccagni

Il TUI SHOU è una pratica comune in tutte le Arti Marziali Interne ed Esterne. La traduzione dal cinese è “spingere con le mani” o “mani incollate” e di solito, ai neofiti, si insegna per migliorare il proprio equilibrio nella postura e nel contatto con l'altro. Ma questa è solo l'apparenza vista da un osservatore esterno anche se attento. Il vero scopo del TUI SHOU nel praticante esperto è compiere una trasformazione (HUA).

La trasformazione nel TUI SHOU avviene a diversi livelli. Il primo è lo studio stesso del TUI SHOU: imparare a trasformare la forza (HUA JIN) dell'altro, piuttosto che cercare di opporsi. A un livello più filosofico, per accedere al TUI SHOU, occorre trasformare la “marzialità” stessa.

Spesso l'Arte Marziale è intesa come l'opposizione o il confronto di due parti. Il TUI SHOU ha come scopo minimizzare questa opposizione. La necessità di “opporsi” si trasformerà nell'adesione “con” l'altro, anche nei momenti difficili della pratica e della vita. Il contatto si mantiene attraverso cerchi e spirali, ma ponendosi nella totale disponibilità e ricercando il risveglio delle sensazioni. È molto diverso da quello di “vigilanza attiva” che in genere si ritrova nelle Arti Marziali (meglio sarebbe iniziare a chiamarle Arti Cavalleresche), in particolare nelle competizioni. Non appena lo spirito di competizione appare nel TUI SHOU si osserva che le mani diventeranno più tese e il corpo tende a chiudersi.

Il TUI SHOU non ha come obbiettivo la superiorità sull'altro, ma piuttosto coltivare e mantenere la propria integrità (o rettitudine) nel rapporto con l'altro. Si tratta dunque di un livello d'iniziazione. Essere disponibile nel contatto significa accettare l'altro, non “tagliarlo fuori” durante le avversità, ma integrarlo come parte di sè.

È abbracciare la dualità Yin-Yang. È lì che si trasforma la relazione. Le proprie sensazioni diventano relative e tutto ciò che viene dall'altro arriva a noi come una propaggine delle nostre esperienze, del nostro sentire. Assumerci la responsabilità delle nostre percezioni, senza alcun interesse a rimuovere l'altro dal momento che fa parte di noi stessi. È il gioco dello Yin-Yang, è l'armonia tra il Cielo e la Terra, tra il Maschile e il Femminile. Ognuna delle due parti comprende l'altra in se stessa e non esiste l'una senza l'altra. Il modo di seguire il Tao è quello di includere l'altro in sè stessi, integrarlo fisicamente, psicologicamente ed energeticamente.

Il TUI SHOU deve diventare per il praticante, neofita o esperto, una scuola di interdipendenza e di auto-accettazione attraverso l'altro.

Il Te alla moda dell'Artusi


Pellegrino Artusi 1820 1911
Tutti gli amanti della buona cucina conoscono Pellegrino Artusi. Nacque a Forlimpopoli nel 1820 e morì a Firenze nel 1911. Fu scrittore, gastronomo e critico letterario, ma nonostante tutto il suo lavoro letterario divenne famoso come autore del celebre libro “La Scienza in Cucina e l'Arte del Mangiar Bene”. Il suo libro lo si potrebbe definire “scientifico” perché ogni ricetta (sono 790) fu il frutto di prove e sue sperimentazioni, coadiuvato dalla cuoca personale, di origine toscana, Marietta.
Non tutti sanno però che era un bevitore e amante del te cinese. Aveva la sua miscela che preparava in modo “tradizionale”. Qui di seguito ho trascritto la ricetta n° 777 che riguarda la preparazione del “the” e alcune curiosità dell'uso in Italia di questa foglia alla fine del'800.

Paolo Raccagni
Copertina della prima edizione

Ricetta 777. - The.

La coltivazione del the è quasi esclusiva della China e del Giappone ed è per quegli Stati uno de’ principali prodotti di esportazione. I the di Giava, delle Indie e del Brasile sono giudicati di qualità assai inferiore.

Le sue foglioline, accartocciate e disseccate per esser messe in commercio, sono il prodotto di un arbusto ramoso e sempre verde che non si eleva in altezza più di due metri. La raccolta della foglia ha luogo tre volte all'anno: la prima nell'aprile, la seconda al principio dell'estate e la terza verso la metà dell'autunno.

Nella prima raccolta le foglie, essendo piccole e delicatissime, perché spuntate da pochi giorni, danno il the imperiale, che rimane sul luogo per uso dei grandi dell'impero; la terza raccolta in cui le foglie hanno preso il massimo sviluppo, riesce di qualità inferiore.

Tutto il the che circola in commercio si divide in due grandi categorie: the verde e the nero. Queste poi si suddividono in molte specie: ma le più usitate sono il the perla, il souchong e il pekoe a coda bianca il cui odore è il più aromatico e il più grato. Il the verde essendo ottenuto con una essiccazione più rapida che impedisce la fermentazione, è più ricco di olio essenziale, quindi più eccitante e però è bene astenersene o usarlo in piccola dose frammisto al nero.

Nella China, l'uso del the risale a molti secoli avanti l'era cristiana; ma in Europa fu introdotto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali sul principio del secolo XVI; Dumas padre dice che fu nel 1666 sotto il regno di Luigi XIV che il the, dopo una opposizione non meno viva di quella sostenuta dal caffè, s’introdusse in Francia.


Il the si fa per infusione e ritiensi che meglio riesca nelle theiere, di metallo inglese. Un cucchiaino colmo è dose più che sufficiente per una tazza comune. Gettatelo nella theiera, che avrete prima riscaldata con acqua a bollore e versategli sopra tanta acqua bollente che lo ricopra soltanto e dopo cinque o sei minuti, che bastano per sviluppare la foglia, versate il resto dell’acqua in ebollizione, mescolate e dopo due o tre minuti l'infusione è fatta. Se la lasciate lì troppo, diventa scura e di sapore aspretto perché si da tempo a sciogliere l'acido tannico delle foglie che è un astringente; però, se durante la prima operazione avete modo di tener la theiera sopra il vapore dell'acqua bollente, estrarrete dal the maggior profumo, ma se paresse troppo forte si può allungare con acqua bollente.


L'uso del the in alcune province d'Italia, specie ne’ piccoli paesi, è raro tuttora. Non sono molti anni che io mandai un giovane mio servitore ai bagni della Porretta per vedere se imparava qualche cosa dell’abile maestria dei cuochi bolognesi; e se è vero quanto egli mi riferì, capitarono là alcuni forestieri che chiesero il the; ma di tutto essendovi fuorché di questo, fu subito ordinato a Bologna. Il the venne, ma i forestieri si lagnavano che l'infusione non sapeva di nulla. O indovinate il perché? Si faceva soltanto passar l'acqua bollente attraverso le foglie che si ponevano in un colino. Il giovine, che tante volte lo aveva fatto in casa mia, corresse l'errore e allora fu trovato come doveva essere.

Anche il the eccita i nervi e cagiona l'insonnia; ma la sua azione, nella maggior parte de' casi, è meno efficace di quella del caffè e direi anche meno poetica ne’ suoi effetti perché a me sembra che il the deprima e il caffè esalti. Però la foglia chinese ha questo di vantaggio sopra la grana d'Aleppo, e cioè, che esercitando un'azione aperitiva sulla pelle, fa sopportare meglio il freddo nel rigido inverno; per questo, chi può fare a meno di pasteggiar col vino nella colazione alla forchetta, troverebbe forse nel the, solo o col latte, una bevanda delle più deliziose. Io uso un the misto: metà Souchong e metà Pekoe.

da "La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene" di Pellegrino Artusi