La Fine e il Nuovo Inizio: gli esagrammi 63 e 64

di Paolo Raccagni

Siamo giunti alla fine di un anno e ci prepariamo ad accoglierne uno nuovo e questo passaggio, questo “cambiamento”, mi dà lo spunto di portare uno sguardo al Libro dei Mutamenti, l’YI JING. Un testo che ha accompagnato la cultura del popolo cinese attraverso secoli di storia e che ora ritroviamo in libreria relegato nello scaffale delle “scienze esoteriche”. Certo, è arrivato fino a noi per la sua caratteristica “divinatoria”, ma ad uno sguardo più profondo ci mostra tutta la sua essenza (JING) di Testo Classico (JING) del pensiero filosofico cinese.

In questo post prendo in considerazione gli ultimi due esagrammi del Testo: il numero 63 “Il Compimento” e il numero 64 “Il non Compiuto”. Entrambi gli esagrammi (immagini costituite da sei tratti orizzontali e sovrapposti che possono essere interi - Yang - o spezzati - Yin) sono composti da tre tratti interi e tre tratti spezzati posti in modo alternato.

Il primo esagramma, Il Compimento (“Dopo il Compimento” per il Wilhelm e “Gia Attraversato” per Faure e Javary), il n° 63, JIJI (既 濟) inizia, in basso, con un tratto intero e a seguire un tratto spezzato… per terminare con un tratto spezzato. Dunque una sequenza “ordinata” di tratti Yang in posizioni dispari (1 - 3 - 5) e tratti Yin in posizioni pari (2 - 4 - 6); ordine che vede il tratto centrale del trigramma inferiore, Yin, e il tratto centrale di quello superiore, Yang. Ogni singola linea si trova al posto giusto; un aspetto favorevole dunque, ma che nella dinamica del Libro dei Mutamenti non può che avere una forma transitoria. “Proprio quando si è raggiunto l’equilibrio perfetto, ogni altro movimento può turbare l’ordine e provocare un ritorno alla disgregazione” (Wilhelm). Questa impressione di “perfezione” sembra immobilizzare la figura  in “modello meccanico stereotipato”, modello lontano dalla logica dell’YI JING che vede nel continuo cambiamento il giusto fluire della “Via”.

La precarietà di questa perfezione è accentuata dal rapporto tra le due “energie” in gioco: il Fuoco, rappresentato dal trigramma inferiore (LI) e l’Acqua rappresentata da quello superiore (KAN). Fuoco e Acqua sono simbolo di un’antitesi, non si possono unire senza provocare danno l’uno all’altro: nonostante ciò mantengono un “legame sottile”; ad esempio se interponiamo un’altro elemento tra loro come il Metallo (vedi DING - Il Calderone), possiamo ottenere la cottura dei cibi. Ed è proprio l’immagine di un pasto, già consumato, che è evocata da uno dei due ideogrammi, quello di sinistra, che compongono il nome dell’esagramma JIJI. Si allude dunque ad una situazione difficile, la permanenza del Fuoco sotto l’Acqua, che richiede estrema attenzione in quanto può portare all’esaurimento dell’Acqua e conseguente consunzione del Fuoco: “In principio salute, alla fine scompiglio” (Wilhelm). Il secondo esagramma è anticipato dalla sentenza del primo.

Il non Compiuto (“Prima del Compimento” per il Wilhelm e “Non ancora Attraversato” per Faure e Javary), il n° 64, WEIJI (未 濟) inizia, in basso, con un tratto spezzato e a seguire un tratto intero… per terminare con un tratto intero: “Uno Yin - Uno Yang è ciò che si chiama Tao” (Il Gran Commento). L’immagine è composta dagli stessi trigrammi, Fuoco e Acqua, ma posti in modo inverso: “il Fuoco (in alto) brucia e si dissipa, l’Acqua (in basso) scorre e la terra si secca” (F. Jullien). Ogni elemento segue la sua inclinazione energetica: il Fuoco tende verso l’alto e l’Acqua verso il basso; una situazione che richiama l’immagine della Separazione (“La Stagnazione” - PI esagramma n° 12), dell’incompiuto.

In questo ultimo esagramma l’ordine sembra disgregarsi, nulla è al proprio posto (i tratti Yin occupano le posizioni Yang e vice versa), quasi che il Libro dei Mutamenti si chiuda in una sorta di sospensione. Una sospensione solo temporanea, perché seguirà immediatamente il primo esagramma della coppia che apre il Libro, il Cielo che con il secondo, la Terra, compongono i pilastri su cui si appoggia tutto l’YI JING. Questo senso di incompiutezza pone il Testo come un modello che non deve essere seguito rigidamente. Un modello che non deve funzionare meccanicamente, ma che può rinnovarsi solo uscendo da ogni codificazione rimanendo aperto e libero da ogni ingabbiamento stereotipato: “Il Dao di cui si può parlare non è il vero Dao” (DAO DE JING).

Buona Fine e Buon Inizio.
 
Per i riferimenti ai testi usati consulta la pagina bibliografia del blog

Dao: quotidianità nel III° millennio - Intervista a Georges Charles

di Matteo Salvadori

Esiste una ripetitività, o una routine, o ancora un "rituale" che può portare o aiutare l'armonia nella sua vita di tutti giorni?

L’aspetto essenziale nella pratica è il rituale del “Saluto” (Jing Li) in quanto contiene la totalità della pratica stessa e, come suggerisce il nome, è il rituale di inizio di tutte le cose, ma deve essere inteso anche come rituale di - e per - la salute: in francese si dice "salut" (salutare) per accogliere qualcuno e "salut" (salute) quale concetto di salute. Il "saluto rituale" consente di ristrutturare sé stessi, riordinare sé stessi, rispettando l’asse naturale della vita utilizzando i quattro Orienti, che sono lo strumento per ordinare le cose nello spazio. L'ideale è posizionarsi con lo sguardo rivolto verso Sud. "Appoggiato e strutturato sullo Yin, abbracciando e accogliendo lo Yang". Se uno si sente "spaesato" o si sente "perduto", il saluto permette di recuperare il senso delle cose nel giusto ordine.

San Yi, il 3 nell’1. Allievo, Istruttore, Maestro. Mi spiega questi tre passaggi come sono stati per lei, e se ha aspetti positivi o negativi che riaffiorano alla mente e che hanno caratterizzato queste tre fasi della sua vita?
E oggi? come si reputa di fronte ai suoi allievi della Scuola? Non le piace esser paragonato ad un Maestro, ma se è quello che gli altri vedono in lei, come se lo spiega?

Studente, Istruttore, Maestro assomiglia alla triade “studio della pratica, pratica, realizzazione della pratica”. Nella prima impariamo a praticare. Nella seconda fase la fine è il nuovo inizio, come il nuovo percorso che si attua dalla cintura nera in poi nelle varie Scuole giapponesi. Nella terza fase la pratica diventa una realizzazione di sé stessi (realizzazione = azione del reale). Citando le parole di Confucio: "Ci si realizza per metà con la pratica, e l’altra metà mediante l'insegnamento". Insegnare è uno dei risultati della pratica. Ma per insegnare bisogna aver praticato, e per praticare bisogna aver studiato. Nessuno studio avviene senza una sua pratica, e al tempo stesso non si può praticare senza un suo studio. Bisogna quindi in primo luogo educare e formare gli studenti per formare dei praticanti, e conseguentemente formare sé stessi quali insegnanti per diventare Maestri. Se un Maestro non ha al suo seguito degli allievi che insegnino la materia, colui non può considerarsi tale ma semplicemente insegnante.
È un percorso, prima bisogna fare, poi si deve sapere, poi si sa fare, e infine saper far fare. Bisogna soprattutto porsi la domanda “perché fare?”, quindi rendere la pratica utile senza farla diventare un modo di gesticolare che può assumere la pratica quando diventa insensata, quindi senza senso come purtroppo succede sia in Cina che altrove. In India c'è una casta, quella dei bramini, i quali non possono fare altro che insegnare e trasmettere la loro conoscenza. Possono vivere con i loro insegnamenti, ma non possono arricchirsi mediante essa. Quando si insegna dobbiamo realizzare che non è questo lo strumento per arricchirsi, soprattutto quando si ha la possibilità di avere una qualità della vita soddisfacente. L'insegnamento è una vocazione, come quella del terapeuta, se non si ha questa vocazione per ciò che si fa è meglio allora fermarsi e cambiare "lavoro". Insegniamo perché vogliamo diventare dei buoni insegnanti che trasmettono qualcosa per cui ne vale la pena.
Gli studenti. Mi piace il principio cinese che considera la scuola tradizionale come una famiglia (Jia o Gar). Sifu è lo "zio" e considera i suoi studenti come i suoi nipoti, e loro lo considerano una sorta di "padrino", in senso buono. Vi è quindi una grande rispetto reciproco basato sui legami di sangue, la parentela, quasi un rapporto filiale, tra padre e figlio. Non è un rapporto alto-basso come un rapporto piramidale e guerrigliero come in Giappone. In questo legame di trasmissione rappresento un po’ il loro nonno: gli studenti sono quindi legati a me, ed io a loro.
Maestro: In Francia, come in Italia, il termine "Maestro" è abusato e non significa più nulla. L'unico modo che ho accettato è quello di "Maestro d'Armi" (Herald francese antico). Io preferisco quello di "Professore", che è più alto nella gerarchia. Ci sono troppi "piccoli maestri" come troppi "piccoli marchesi". In cinese il mio titolo esatto è "Shengren Daoshi" letteralmente "uomo compiuto che trasmette la Voce, la Via", e in effetti questo è lo stesso concetto di "esser compiuto, realizzato".
Mi piace l’idea che si possa pensare di essere compiuti, realizzati, ma non è il mio caso: ho ancora molto da imparare e da compiere in questa Via.
In Italia Maestro è un termine molto comune… per poi diventare "Dottore", "Professore", "Commendatore"... poi “Duce”! Non volevo diventare un dittatore, anche se generalmente gli insegnanti sono dei piccoli dittatori.

Quale è stato il momento nel quale ha realizzato che avrebbe investito tutta la sua esistenza in questo "percorso di vita" legato alle pratiche cavalleresche?

Sono stato vice direttore delle vendite in un’azienda che operava nel settore agroalimentare. Il mio capo un giorno mi ha inviato una lettera in cui mi ha scritto che "Non è possibile eseguire due cose alla volta. Si deve scegliere tra il lavoro e il tempo libero". Ed io ho scelto. Mi sono dimesso.
In quel momento ho realizzato che avrei dedicato la mia intera vita alla pratica e alla sua trasmissione. Questo è successo nel 1977. Sono ormai quarant’anni, e non me ne pento. Sinceramente devo constatare che non è stato facile, e se dovessi nuovamente scegliere, probabilmente lo rifarei, anche prima, anche nel 1970!

La sua quotidianità è impregnata di Dao? Quando lava i piatti, lo fa con la serenità del Dao?

Dao. La Via. È semplicemente parte integrante della mia vita come le ore ed il tempo che fanno parte e scandiscono la mia vita. A volte è necessario seguire il tempo e gli orari (per prendere un treno o un aereo), a volte non ci interessa perché non abbiamo ‘orari’ da dover seguire. Non guardo quasi mai l’ora, ma al tempo stesso sono raramente in ritardo. Ma il Dao mi da la possibilità, fortunatamente, per me di arrabbiarmi, altrimenti non sarebbe il Tao! Quindi la serenità arriverà in un altro momento.

Momento complicato della sua vita: quali sono stati gli strumenti adottati che sono risultati efficaci per procedere al meglio in questa situazione difficile?

Quando mi trovo in situazioni difficili cerco di semplificare e vedere le cose con una nuova prospettiva, e mi ripeto sempre che ci sono un sacco di persone che si sono trovate in situazioni anche ben peggiori della mia e che sono riuscite a risolvere i loro problemi. La Via-vita è l'unica vera avventura, sessualmente trasmissibile, della quale siamo sicuri di non poterne uscirne vivi. E realizzo che nel dubbio bisogna passare all’azione perché è la cosa più facile. Bisogna ritornare all’essenziale della vita, conservando in sé la propria rettitudine, sia essa fisica, psichica, morale.

C'è qualcosa che vorrebbe fare e che non è ancora riuscito a finalizzare?

Ci sono un sacco di cose che avrei voluto fare, come imparare a suonare un po’ di musica (per incantare e affascinare i serpenti!) o imparare a gestire vari aspetti economici del nostro tempo, così da non farmi truffare dalla mia banca, o dal mio assicuratore. E poi le tasse e le imposte, ma è solo questione di tempo. Quindi bisogna fare le cose con attenzione. Recentemente sto lavorando e terminando la stesura di un libro riguardante la resistenza: bisogna quindi resistere.

Progetti per il futuro?

Progetti per l’avvenire? Continuare a praticare, a studiare, a trasmettere e nella mia realizzazione personale per poi dire a me stesso: "Non voglio sprecare il mio tempo!".

per saperne di più...