La questione dei riti

Nella Cina del XIII e XIV secolo, durante la dinastia YUAN (1260-1368), tutte le confessioni religiose godevano di un’ampia tolleranza da parte dei dominatori mongoli. Infatti, tutte le religioni avevano la medesima libertà d’azione. Caduta la dinastia YUAN e con l’avvento dei MING (1368-1644) si assiste al ritorno di una forte reazione nazionalista con la conseguente condanna di tutte le dottrine eterodosse che “minavano l’ordine morale, politico e sociale confuciano”.

Si dovette aspettare fino al XVI secolo per nobilitare, agli occhi dei cinesi, la cultura europea e questo ad opera dei padri gesuiti. Questi religiosi occidentali affascinarono la corte cinese con la loro grande competenza tecnica e scientifica ed ebbero come riconoscimento l’assegnazione “dell’Ufficio del calendario” e un atteggiamento più conciliante nei confronti della religione cristiana. Fu solo dopo la salita al trono dell’imperatore KANGXI (1662-1722) della dinastia QING (1644-1911), nel 1692 che ai cinesi fu concessa la libertà di culto e ai missionari il permesso di praticare i riti cristiani nelle loro chiese.

Questa grande apertura dell’imperatore nei confronti delle religioni esterne alla Cina diede origine la corsa all’evangelizzazione di questo grande paese e la conseguente perdita della “egemonia” della Compagnia di Gesù a favore di altri ordini, in particolare dei numerosi domenicani e francescani che raggiunsero la Cina. La compresenza dei diversi ordini e delle diverse strategie e metodi di evangelizzazione innescò la disastrosa
quaestio de ritibus sinensibus.

La strategia dei gesuiti, impostata da Matteo Ricci (1552-1610), era quella di “catturare” le simpatie dei cinesi, in particolare i letterati e gli esponenti della nobiltà, adattandosi ai costumi locali, utilizzando la lingua cinese in modo colto e permettendo ai cinesi convertiti di seguitare a praticare i riti confuciani e quelli in onore degli antenati. Inoltre i missionari gesuiti usufruirono dei termini cinesi per indicare concetti cristiani ed un atteggiamento assonante sui principi fondamentali della dottrina confuciana.

Gli ordini domenicani e francescani, invece, si rivolgevano prevalentemente al popolo incolto che aveva una scarsa conoscenza dei principi confuciani e un approccio ai riti tradizionali di tipo, troppo spesso, superstizioso. Questo valse dell’accusa, da parte di questi ultimi, verso i gesuiti di insegnare una “versione corrotta e degenere del cristianesimo, dunque intollerabile”.

Queste divergenze esistevano già all’interno della Compagnia di Gesù ancora prima dell’arrivo in Cina degli ordini mendicanti. Dunque non si può imputare ai domenicani e ai francescani l’apertura di questa disputa che porterà al decreto del 1645 di papa Innocenzo X che impedì, di fatto, a tutti i cristiani di partecipare a tali riti. In seguito i gesuiti, per perorare la loro causa, si rivolsero al suo successore, Alessandro XII, il quale, nel 1669, con un altro decreto, che non abolì il precedente, rese ancora più paradossale la situazione.

Per definire la questione bisogna attendere il papa Clemente XI e il suo decreto del 1704,
Cum Deus optimum, che impose ai missionari e ai cattolici cinesi la proibizione dei riti confuciani e la successiva Ex illa die che rinnovò tale proibizione. È proprio quest’ultima a provocare l’ira dell’imperatore KANGXI che minacciò di cacciare tutti i religiosi occidentali dall’impero, i quali per timore di ritorsioni smisero di amministrare i sacramenti abbandonando a loro stessi i convertiti locali. Con la morte di KANGXI e la salita al trono di suo figlio YONGZHENG (1723-1735) i cristiani subiscono una durissima repressione e nonostante l’opera del francescano Purificacao da Rocha Froes, vescovo di Pechino, volta a mitigare la situazione, per decreto imperiale vengono revocati i permessi ai missionari, tranne quelli di corte, e tutte le chiese diventano edifici di pubblica utilità. Nonostante ciò nel 1742 l’intransigente papa Benedetto XIV promulga la Ex Quo Singolari che conferma la Ex illa die e pone fine alla disputa sui riti.

Bisogna attendere il 1939 perché la Santa Sede e solo dopo che il governo cinese ha confermato la mera natura civile dei riti, perché la proibizione sia rimossa con l’istruzione
Plane compertum est (8 dicembre 1939) della Sacra Congregazione di Propaganda fide:

“È chiaro che alcune cerimonie in Oriente pur essendo state precedentemente legate a riti pagani ritengono ora, dati i cambiamenti delle usanze e del pensiero lungo i secoli, un significato puramente civile della pietà filiale verso gli antenati, dell’amore per la patria e del rispetto ai connazionali”.

Il post è una mia elaborazione di un testo tratto da uno studio a firma Elisa Calvaresi su "Monografie di Rivista Liturgica" al quale rimando per ogni approfondimento.
Paolo Raccagni

Riunire i Tre Uno - La postura WU JI

“I Tre si unisco in Uno e le Tre Potenze animano il Cielo, l’Essere Umano e la Terra, agendo di concerto”.

Si tratta della postura che ogni praticante assume prima di iniziare ogni esercizio di QI GONG. La postura WU JI, letteralmente del "Non-Colmo", è conosciuta anche con altre definizioni: "Postura dell'essere umano libero ed eretto", dei "Cinque allineamenti", della "Energia latente e non manifesta", della "Giusta attitudine". Lo scopo nell'assumere questa posizione è relazionare l'Uomo, nel modo migliore, rispetto al Cielo ed alla Terra ed ottenere, attraverso questa verticalità, l'Unione dei Tre-Uno (SAN YI 三一). I piedi sono appoggiati naturalmente a terra e la distanza tra un piede e l'altro è compresa tra la larghezza delle spalle e delle anche. Il peso del corpo è distribuito equamente tra entrambi i piedi. Le ginocchia sono leggermente piegate, il bacino è libero di muoversi tra apertura e chiusura. La colonna vertebrale è estesa, la testa è come sospesa ad un filo legato al vertice del cranio. Lo sguardo è rivolto all'orizzonte, il mento preme verso il basso in modo da stirare leggermente la nuca. Le braccia scendono lungo il corpo, le spalle sono rilassate, le mani con i palmi rivolti alle cosce. La respirazione è calma e profonda.

Definiamo ora tre livelli o piani di equilibrio.
Un piano orizzontale sul punto d'appoggio dei piedi, rappresenta il legame con l'energia della Terra (TU QI 土氣), dunque la relazione con il suolo, la capacità di radicamento, la stabilità, la forma. Questo piano orizzontale costituirà le fondamenta della pratica. Per analogia con la scrittura cinese, il tratto rappresenta YI (一), il numero Uno, l’Unità, il primo radicale. In relazione con l’asse verticale, l’asse d’equilibrio che attraversa il corpo dalla sommità della testa (punto BAI HUI) al centro del perineo (punto HUI YIN) e che si estende fino ai piedi (punto YONG QUAN), avremo il carattere è SHANG (). SHANG è formato alla base
da un tratto orizzontale (YI), sopra del quale si eleva perpendicolarmente un tratto verticale marcato da un piccolo segno. SHANG significa: al disopra. Per estensione assume il senso di alto, di superiore, poi di maestro, di sovrano. Infine prende il significato di elevarsi (in senso gerarchico), poi di sorpassare. Il primo allineamento dunque, presuppone un lavoro iniziale (o d’iniziazione) determinato dal radicale YI, il tratto orizzontale. Questo tratto si relaziona alla Terra (TU ), dando una definizione di radicamento, dal quale si può iniziare un lavoro di elevazione, evidenziato dal tratto verticale. Questa elevazione può assumere un aspetto fisico o materiale definito dalla posizione in piedi, oppure assumere un aspetto più “sottile” come cercare di innalzarsi verso qualcosa d’altro (HUA).

Un secondo piano orizzontale che attraversa l’articolazione coxo-femorale, rappresenta il legame con l’energia dell’Uomo (REN QI 人氣) e alla sua capacità di relazionarsi con ciò che lo circonda, con l’ambiente, i suoi rapporti sociali ma anche con “l’interno”, dunque la sua capacità di “scambio”. Questo tratto è legato al numero Due (ER 二), la Dualità. In relazione con l’asse verticale avremo il carattere è SHI (士 - Radicale n°33): formato da YI (一, Uno) posto al disotto di SHI (十, Dieci, radicale n°24). SHI significa letterato, funzionario, uomo maturo. C’è un aspetto numerologico interno al carattere, come già accennato nella descrizione, in altre parole i numeri cominciano da Uno e terminano con Dieci e come afferma Confucio (KONG ZI): “Ragionare su Dieci (la Moltitudine – Diecimila esseri) senza perdere di vista l’Unità, questo è (il significato di) SHI”.

Un terzo piano orizzontale, a livello del cranio, rappresenta il numero Tre (SAN 三), il legame con l’energie del Cielo (TIAN QI 天氣), la spiritualità (SHEN 神) dell’Uomo. Messo in relazione all’asse verticale ed ai due assi precedenti, dà forma al carattere WANG (王), re, sovrano, monarca. L'ideogramma WANG, ci rimanda all'identificazione dell'Uomo col “centro del mondo”, alla sua capacità di relazionarsi con il Cielo e la Terra attraverso (il segno verticale che interseca gli altri orizzontali) la sua “rettitudine”. Questa immagine richiama il capitolo XIV del DADEJING di LAOZI:



"Guardandolo non lo si può vedere il suo nome è l'invisibile.
Ascoltandolo non lo si può udire il suo nome è l'inaudibile.
Toccandolo non lo si può sentire il suo nome è l'impalpabile.
Questi Tre stati dove l'essenza è indecifrabile si confondono in Uno".


I tre piani rappresentati nel DAODEJING come Invisibile, Inaudibile e impalpabile, designano tre regioni la testa, il petto ed il ventre che possiamo identificare con le sedi dei Tre DANTIAN, i Tre "Campi di Cinabro", superiore, mediano e inferiore e per estensione all'Essenza (JING), al Soffio Vitale (QI) e allo Spirito (SHEN). "Riunire i Tre-Uno" precisa lo YUANMEN DALUN SANYI JIUE, "questo è raggiungere il Tao".

Bibliografia:
Georges Charles "Qi Gong ed Energia Vitale" - Ed. Pendragon;
Georges Charles "Le Rituel du Dragon" - Ed. Chariot d'Or;
Lao-tzu "Tao Te Ching" - Oscar Mondadori;
L. Wieger "Chinese Characters" - Ed. Dover