di Paolo Raccagni
La calligrafia come anche la pittura, fanno parte a pieno titolo di quelle che vengono definite Arti Classiche Cinesi. Esse comprendono, in una certa misura, la Medicina Tradizionale in tutte le sue componenti, tra le quali le pratiche di Lunga Vita, senza dimenticare quelle che in Occidente definiamo Arti Marziali. Come provocazione possiamo dire che non esiste La Calligrafia Cinese, non esiste una Pittura Cinese né la Medicina Tradizionale Cinese come non esistono le Arti Marziali Cinesi. Esiste solo un Pensiero Cinese che comprende tutte queste espressioni d’arte.
Nella calligrafia Cinese, non si utilizzano dei caratteri alfabetici, ovvero una sequenza stilizzata di “segni convenzionali” che posti in una determinata sequenza logica permettono di classificare un oggetto, una persona, … ma delle “immagini”, dunque degli elementi visivi. Lo schema di linee essenziali dell’ideogramma è radicalmente diverso dallo schema che governa l’alfabeto. Non si tratta di stabilire l’essere delle cose, dell’uomo o della natura; la concezione Cinese è in un certo senso opposta, per essa si tratta di “figurare” (non “stabilire”) il divenire delle cose.
Come anticipato nel post Dipingere col Corpo (Prima Parte) se sostituiamo la parola calligrafia, o pittura, con movimento e la parola tratto con gesto, vedremo che praticare il Qi Gong, il Tal Ji Quan o la Danza - parafrasando Carlo Sini nel suo testo “Il Sapere dei Segni”, Ed. Jaca Book - il movimento diventa un parlare e il vedere un ascoltare, si può dunque parlare con il corpo e ascoltare con gli occhi.
Nella pittura “il primo tratto non è il risultato di un movimento qualunque, casuale o calcolabile che sia, ma si pone come un gesto che incorpora e assume la responsabilità di inaugurare un nuovo mondo”(2). Così nel movimento: il primo gesto è all’origine ti tutti i gesti, la radice di tutte le forme. Utilizzando le parole di Shitao: il gesto “non è alla base di una rappresentazione particolare, ma di tutte le rappresentazioni”. Un singolo gesto, come simbolo(3), contiene in potenza tutti i gesti.
Muoversi, sempre appoggiandosi alle parole di Shitao, è già parlare. Il movimento, con il suo primo gesto, il suo sviluppo, il gioco sottile dei “pieni” e dei “vuoti” è un’unità capace di infinite variazioni. In questo senso possiamo definire il movimento come una traduzione visiva del Soffio (QI), quello che per i Cinesi è l’Unità di base dell’universo vivente.
“Quando la Suprema Semplicità si è dissociata, è subentrata la Regola dell’Unico Tratto di Pennello. Una volta stabilita questa regola si è manifestata l’infinità delle creature”. (Shitao)
"La forma è vuoto, il vuoto è forma" da il Sûtra del Cuore |
Nel movimento come nella pittura, la relazione tra il pieno (SHI) e il vuoto (WU), tra il visibile, Yang, manifesto e l’invisibile, Yin, nascosto, genera un’immagine, ma questa immagine sarà visibile solo attraverso lo sfondo, il Principio Supremo, il Tao. Solo lo “sfondo” consente il movimento rotatorio delle forme che lo tracciano. Il movimento diventa “l’arte” di rendere visibili le dinamiche che collegano i pieni e i vuoti, nelle forme che lo tracciano, con il Grande Vuoto (Tao), l’invisibile “sfondo” senza forma che è alla base e all’origine di ogni forma. Si tratta dunque di rendere visibile ciò che comunemente non si manifesta.
“Pieno, Vuoto e Grande Vuoto giacciono sul piano dell’immanenza. Essi si trascendono solo circolarmente, restando correlativamente uniti. Questo principio è quello stesso del tao: lo sfondo infinito è come tale innominabile; ma proprio perciò sempre di nuovo nominato e non altrimenti è non altrove che non nel nominato. Il Tao perciò si può anche nominare con nomi infiniti. L’esercizio sapienziale consiste nel vedere che nessuno di questi nomi è il Tao, e che ognuno però è nel Tao, in questo senso anche essendolo” (Carlo Sini).
1) Shitao (Zhu Ruoji 1642 - 1707) fu uno dei più grandi pittori cinesi. Vissuto durante la dinastia Qing fu anche poeta e teorico della pittura e delle arti cinesi.
2) Pasqualotto - Figure di pensiero. Opere e simboli nelle culture d’Oriente - Marsilio, Venezia 2007.
3) “Funzione del simbolo, in quanto immagine che condensa una quantità e qualità di significati che è arduo esprimere in parole”
(Pasqualotto).
Grazie Paolo!
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